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La Biblioteca Medicea Laurenziana

L’originario nucleo del complesso Mediceo della Biblioteca Laurenziana si compone del chiostro a doppio loggiato adiacente alla Basilica di San Lorenzo consacrata da Sant’Ambrogio nel 393 d.C.

Nel chiostro superiore si trova l’accesso al Vestibolo dal quale si accede, attraverso la famosa scalinata disegnata da Michelangelo tra il 1519 ed il 1534, originariamente pensata in legno di noce e poi eseguita da Bartolomeo Ammannati in pietra serena, alla  famosa sala di lettura .

Più avanti sempre dal chiostro si accede alla cripta dove si trova la tomba di Cosimo il Vecchio de Medici e dello scultore Donatello.
La biblioteca prende il nome della Basilica di San Lorenzo adiacente alla struttura e dalla famiglia Medici perchè l’originario nucleo, il fulcro dell’intera collezione prende vita ed è stato individuato nei 63 codici della raccolta privata di Cosimo il Vecchio diventati poi 150 alla sua morte.

L’unicità della collezione non stà tanto nella sua quantità ma a farne una vera e propria eccezionalità è la particolarità della raccolta che è stata il risultato di una scelta precisa che ha privilegiato l’antichità, il pregio filo logico, la bellezza che gli eredi di Cosimo continuarono a ricercare con passione e sapienza arricchendola di codici di inestimabile valore. La collezione prevede codici contenenti le opere di Tacito, Eschilo, Plinio, Sofocle ma anche la più completa raccolta delle opere complete di Virgilio appartenuta al Console Turcio Rufo Asterio e risalente al 494 d.C.
La biblioteca comprende anche l’opera completa dei Dialoghi Platonici donata, affinchè la traducesse dal greco, da Cosimo il Vecchio al grande Marsilio Ficino, che fu scelto come precettore di Lorenzo il Magnifico.

Anche il Codice Squacialupi fa parte della raccolta. Questo codice è l’unica fonte esistente della musica profana tra 300 e 400.
L’intera collezione al momento della cacciata della famiglia Medici da Firenze venne acquistata dai frati Domenicani di San Marco ai quali la Signoria la vendette.
Giovanni dei Medici salito al soglio Pontificio nel 1513 con il nome di Leone X recuperò la biblioteca dagli stessi frati portandola a Roma nel Palazzo di famiglia, l’attuale Palazzo Madama.

Solo sotto il pontificato di suo cugino Giulio de Medici, figlio di Giuliano diventato Papa con il nome di Clemente VII si realizzò il ritorno a Firenze della raccolta.
Il Pontefice stesso dette l’avvio alla costruzione della fabbrica della biblioteca. I locali furono commissionati a Michelangelo Buonarroti.
Solo però nel 1558 Michelangelo fornì da Roma dove si era trasferito il modello in argilla ed i disegni per la scala tripartita che serviva a risolvere il dislivello tra il vestibolo e la sala di lettura.

I lavori terminarono nel 1571 anno nel quale la biblioteca fu aperta al pubblico.
I monumentali gradini di forma ellittica  dello scalone nel vestibolo, gli incassi delle colonne che permettono una maggiore elevazione dello sguardo,  l’intonaco bianco contrapposto al grigio della pietra serena dei timpani triangolari e delle cornici di pietra delle finestre ceche hanno il valore plastico della grande scultura di Michelangelo che oltre ad alleggerire la massa strutturale crea un’armonia impareggiabile nelle linee e nello sguardo di chi osserva l’opera .
Lo scalone conduce alla sala di lettura, un lungo ed ampio corridoio finestrato  con banchi lignei disegnato da Michelangelo.

Nei banchi lignei disegnati anch’ essi da Michelangelo erano conservati orizzontalmente nei ripiani inferiori gli antichi codici miniati che erano liberamente consultabili anche se fissati al bancone per mezzo di catene.
Il soffitto in legno di tiglio su disegni di Michelangelo fu intagliato da  Giovanni Battista del Tasso nel 1550. Nei riquadri i simboli di Cosimo I.
Maestranze fiamminghe crearono le vetrate su disegni di Giorgio Vasari, ed hanno come tema l’araldica medicea.

Il pavimento con intarsi in terracotta rossa e bianca riprende la ripartizione del soffitto e segue un progetto del Tribolo che ebbe direttamente indicazioni ed istruzioni per il cantiere da Michelangelo stesso .

Anche la biblioteca che un tempo era alla Villa Medicea di Cafaggiolo venne spostata in questa collezione e quindi anche le carte del Concilio Fiorentino del 1439 e le celeberrime Pandette di Giustiniano, raccolta di leggi del Diritto Romano voluta dall’imperatore bizantino Giustiniano in contrasto con le leggi di origine barbara in uso nel medioevo che e’ la base del diritto Comune Europeo.

Tra i vari tesori  librari che si trovano nella biblioteca Laurenziana risalta anche la Bibbia Amiatina (VII-VIII sec) una copia del  più antico manoscritto completo della Bibbia  detta Vulgata (“edizione per il popolo”) tradotta dal greco antico e dall’ebraico personalmente da San Girolamo (Codex Grandior) copiata e custodita dagli amanuensi del monastero calabro di Vivarium guidati dall’erudito abate Cassiodoro.
La Bibbia Amiatina (VII-VIII secolo), con rari esempi di miniature italo-sassoni è la più antica copia manoscritta conservata integralmente della Bibbia nella sua versione latina redatta da san Girolamo, di cui si ritiene sia anche la copia più fedele.

Realizzata originalmente in tre copie a partire dal 692 per volontà di Ceolfrid, abate di Wearmouth nel Regno di Northumbria, richiese anni di lavoro. L’originale acquisito a Roma era verosimilmente un codice della Vulgata nella versione dell’antiqua translatio corretta personalmente da san Girolamo, forse il codex grandior prodotto nel VI secolo al monastero calabro di Vivarium per volontà dell’erudito abate Cassiodoro. Per rendere idea dell’impegno profuso nella realizzazione dell’opera, il monastero si assicurò i diritti su terre aggiuntive per poter allevare i 2000 capi di bestiame necessari a ricavare la quantità di pergamena richiesta.

Le due copie rimaste in Inghilterra giungono a noi in forma frammentaria, mentre la copia tornata in Italia è intatta. Lo stesso abate Ceolfrid, oramai avanti con gli anni, si incamminò in direzione di Roma portando con sé il tomo con l’intenzione di farne dono a papa Gregorio II. Ceolfrid morì durante il viaggio nell’odierna Borgogna e la Bibbia scomparve, per riapparire circa un secolo dopo nell’abbazia di San Salvatore, dove rimase custodita per quasi mille anni ed acquisì il nome di Codex Amiatinus. Presso il museo dell’abbazia di San Salvatore è possibile ammirare una copia recente dell’opera.

Il codice amiatino fu utilizzato per la preparazione dell’edizione sisto-clementina della Vulgata. Infatti, sul verso del secondo foglio di guardia è attaccato un cartiglio che reca la seguente nota manoscritta: «La presente Bibia A dì 12 di luglio 1587 fu portata al illustrissimo Card. Antonio Carafa per l’opera dell’emendatione della Bibia latina vulgata per ordine di S. Santità Sixto V in Roma e fu restituita a dì 19 di gennaio 1592 alli Reverendi Padri D. Marcello Vanni et D. Stefano Bizzotti Monaci di Monastero di S. Salvatore in Montamiata. Io Arturo de’ conti d’Elci».

Soppressa l’abbazia di San Salvatore per volontà del granduca Leopoldo II d’Asburgo-Lorena, nel 1786 il Codex Amiatinus fu trasferito presso la Biblioteca Medicea Laurenziana in Firenze. È conservato tutt’oggi presso la Biblioteca Laurenziana, di cui costituisce uno dei più importanti tesori.

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