La vicenda che accompagna le gesta di Ghino di Tacco affonda le sue radici nella leggenda e molto di quanto si ritiene vero forse si è costruito nel tempo nelle lunghe serate invernali a veglia davanti ai fuochi credendo di scorgere nel coraggioso fuorilegge una sorta di eroe.
Ghino di Tacco (La Fratta metà del XIII – Roma o Sinalunga 1320 circa) nacque da uno dei più importanti casati senesi: la famiglia Cacciaconti Monacheschi Pecorai presso la tenuta La Fratta, antico feudo posto tra Torrita di Siena e Asinalunga, l’odierna Sinalunga.
Il borgo di Asinalunga nasce come una stazione di posta (Mansio) sulla Via Cassia con il nome di Ad Mensulas. Successivamente il nome fu cambiato in Asinalunga e poi Sinalunga.
Il Padre di Ghino Tacco di Ugolino, tra le sue scorribande, tentò di attaccare un castello della Repubblica di Siena, quello di Torrita, ma Siena reagì inviando truppe e poco dopo Tacco di Ugolino, suo fratello e i suoi figli furono catturati, dall’esercito senese.
Tale territorio era infatti talmente ambito dalla Repubblica di Siena che successivamente, nel 1363, vi fu in questa zona un’epica battaglia durata dall’alba la tramonto in cui fu sconfitta la più micidiale tra le compagnie di ventura, quella dei bretoni del Cappello al soldo dei fiorentini. La parte finale della battaglia con l’accerchiamento dei soldati di ventura da parte dei senesi avvenne nel luogo che ancora oggi prende il nome dalla fase di accerchiamento: il Serraglio lungo il tracciato della Via Cassia tra Sinalunga e la tenuta La Fratta.
Successivamente il padre di Ghino e lo zio furono processati e giustiziati, mentre Ghino e suo fratello furono risparmiati causa la loro giovane età. Ghino giurò di vendicarsi ma fu costretto a lasciare la Tenuta La Fratta e fuggire verso la Val D’Orcia dove si rifugiò nel Castello di Radicofani che divenne la sua dimora denominato “Nido dell’aquila”.
Sulla sua testa andarono accumulandosi le condanne senesi e papali.
Ghino continuò la sua carriera di bandito, ma con una filosofia diversa rispetto a prima. Ad ogni malcapitato Ghino, era solito lasciare qualcosa con cui vivere, e sempre si informava su quali fossero i reali possedimenti del futura vittima. Venne infatti dipinto e descritto come un brigante gentiluomo, una sorta di Robin Hood ante litteram, gentile e generoso con poveri e studenti, dai più grandi scrittori, due fra tutti il Boccaccio nel suo Decameron, e Dante Alighieri in un passaggio del VI canto del Purgatorio della Divina Commedia.
Il Boccaccio racconta la storia del rapimento dell’abate di Cluny, proprio a rappresentanza dell’animo gentile di Ghino, nella II novella del X giorno in cui si racconta come durante il rientro da Roma dopo esser stato da Papa Bonifacio VIII, l’Abate di Cluny decise di fermarsi alla terme di San Casciano dei Bagni (LINK), per curare il suo forte mal di stomaco. In questa occasione venne rapito e tenuto nella torre della Rocca di Radicofani, a pane, fave secche e Vernaccia. La dieta obbligata si rivelò miracolosa, guarendo dal mal di stomaco l’abate che convinse Papa Bonifacio VIII a perdonare Ghino che qualche tempo prima si era vendicato della morte del padre e dello zio, assassinando il giudice Benincasa a Roma in una delle sue incursioni e scorribande, decapitandolo e infilando la testa sulla picca. Venne addirittura nominato Cavaliere di S. Giovanni e Friere dell’ospedale di Santo Spirito:
“Ghino di Tacco piglia l’abate di Clignì e medicalo del male dello stomaco e poi il lascia quale,
tornato in corte di Roma, lui riconcilia con Bonifazio papa e fallo friere dello Spedale.”
Dante nel VI canto del Purgatorio della Divina Commedia incontra e con fatica si cerca di liberare delle anime di coloro che sono morti di morte violenta e che gli chiedono di essere ricordati tra i vivi con preghiere di suffragio. Tra questa vede anche Benincasa da Laterina, noto giurista dello studio bolognese del XII sec, che fu ucciso proprio da Ghino di Tacco per vendicare la sua sentenza di morte per il padre e lo zio.
« Quiv’era l’Aretin che da le braccia
fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte ».
Dopo una vita ricca di scorribande e famose citazioni, si dice che Ghino sia morto o a Roma o a Sinalunga. Altri invece narrano che dopo il perdono papale e della Repubblica senese, non dovendosi più nascondere, abbia passato la sua vita ad aiutare gli altri, trasportato dal suo sentimento di gentilezza e morale.
Si pensa sia stato ucciso durante una rissa, nel secondo ventennio del XIV secolo, mentre tentava di dividere fanti e contadini.
Contribuendo alla riabilitazione del personaggio, i discendenti di Ghino assunsero il cognome “di Ghini” e divennero nei secoli una delle famiglie più longeve e influenti d’Europa, conosciuti con i titoli di Marchesi di Romagna, Patrizi di Cesena e San Marino, dando anche i natali a Papa Pio VII.
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