Il pannello dipinto intorno al 1450 rappresenta la parte frontale di un cassone nunziale quattrocentesco, oppure, secondo recenti studi, il pannello di una spalliera da lettuccio.
Il Cassone Adimari è un dipinto a tempera su tavola (88,5×303 cm) attribuito a Giovanni di Sergiovanni detto lo Scheggia (S. Giovanni Valdarno 1406 – Firenze 1486), fratello del più famoso Masaccio, databile al 1450 circa e conservato nella Galleria dell’Accademia a Firenze. Il collegamento con la famiglia Adimari è dato dall’ambientazione della scena nuziale rappresentata, nel tratto dell’attuale parte Via de’ Calzaiuoli che un tempo si chiamava Corso degli Adimari, per i numerosi possedimenti della famiglia.
La stupefacente rappresentazione di questo dipinto narra lo svolgimento dello sposalizio Adimari-Martelli e ha come cornice Piazza del Duomo a Firenze.
Ben riconoscibile il Battistero e il loggiato non più presente di Santa Maria del Fiore. Una lunga tenda colorata tesa tra la loggia e una casa, in quello che oggi è l’imbocco di Via de’ Calzaiuoli, permette il passaggio coperto di una serie di coppie riccamente abbigliate, con tessuti damascati e broccati caratteristici della manifattura delle Arti della Seta.
Ad attrarre grande attenzione sono proprio i costumi e i tessuti preziosi, ricchi nell’uso di ori, punzonature e altre tecniche adoperate per riprodurre la pregiate decorazioni, vero e proprio vanto dei protagonisti. A sinistra un gruppo di inservienti, di dimensioni più piccole secondo una convenzione della tradizione medievale, si affanna entro un’abitazione a portare vivande, mentre su un palco si trovano una serie di musici, tra cui due tromboncini con le insegne del Comune di Firenze. In lontananza oltre le mura si intravede il bellissimo paesaggio toscano.
I setaioli fiorentini erano sia commercianti sia tessitori; la produzione della seta in città registrò un incremento significativo a partire dal 1314, anno in cui Lucca, che fino a quel momento deteneva il primato in questo settore, venne conquistata e saccheggiata da Uguccione della Faggiola, signore di Pisa. Molti setaioli lucchesi, per sfuggire alla rovina economica decisero di trasferirsi a Firenze, portando tutto il loro bagaglio di conoscenza.
La produzione si fece così più variegata e gli splendidi tessuti confezionati divennero sempre più richiesti. Si istituì una vera e propria “industria della seta” fiorentina che raggiunse i massimi livelli nel Quattrocento, quando comparvero le stoffe damascate e i broccati intessuti con fili d’oro e d’argento. In brevissimo tempo divennero famosi ed esportati in tutta Europa. Si trattava certamente di merci di lusso, destinate ad una clientela raffinata ed esigente, molto attenta alle tendenze della moda dell’epoca. La corporazione offriva la garanzia di commercializzare un prodotto perfetto, realizzato secondo criteri scrupolosi e da operai altamente specializzati.
L‘Arte della Seta, o di Por Santa Maria, oltre ad esser una tra le più produttive arti fu anche una tra le più prodighe nell’assistenza ai propri iscritti e nelle opere di beneficenza. Ogni anno una parte delle quote versate dai soci erano devolute ai poveri, alle partorienti e ai malati. Si deve infatti alla corporazione la costruzione dello Spedale degli Innocenti, realizzato da Filippo Brunelleschi e inaugurato solennemente nel 1444. Sotto il loggiato è ancora visibile la ruota girevole su cui venivano deposti i bambini abbandonati dai genitori e che crescevano in questa struttura che funzionava oltre che da orfanotrofio, anche come ricovero per le ragazze madri.
Oltre ai setaioli, l’Arte della Seta riunì altre categorie di commercianti tra cui i calzaioli,che diversamente da quello che la parola potrebbe suggerire, non fabbricavano le scarpe. Si trattava di calze suolate, lunghe fino all’inguine e da attaccare al farsetto con dei laccetti, confezionate in tessuto o lana leggera e con la suola di cuoio cucita appunto sulla pianta del piede.
Anche le botteghe degli orafi erano molto diffuse a Firenze, concentrate nella zona tra il Ponte Vecchio ed il Mercato Nuovo, dove ancora oggi se ne trovano diverse.
L‘Arte della Seta, come ognuna delle altre Arti, scelse come suo patrono San Giovanni Evangelista. Una prima statua in marmo del protettore, di autore vicino all’Orcagna, si trova oggi al Museo dello Spedale degli Innocenti, sostituita nel 1515 all’interno della nicchia della Chiesa di Orsanmichele da un’opera in bronzo di Baccio da Montelupo.
C’era poi l’Arte dei Mercatanti o di Calimala è stata la prima delle Arti Maggiori di cui abbiamo avuto notizie, risalenti al 1150. Il nome deriva da Via Calimala, nel centro di Firenze che collega Piazza della Repubblica con la Loggia del Porcellino, dove esistevano numerose botteghe dell’Arte e che in epoca romana era presumibilmente il cardo, ossia la direttrice nord-sud che partiva dal Foro, i cui resti si trovano appunto sotto la pavimentazione di Piazza della Repubblica.
I mercanti si riunirono in potenti compagnie commerciali che importavano materie prime come lana grezza e stoffe dall’Europa, dove aprirono diverse filiali e magazzini. Trattavano anche l’acquisto di merci estere come perle, corallo, oro, argento e seta.
Per ben rappresentare l’Eccellenza delle Arti nel campo della manifattura tessile, che qualificava con immediatezza il rango di appartenenza, abbiamo scelto di mostrarvi due opere pittoriche.
La prima è il Ritratto di Simonetta Vespucci, opera di Piero di Cosimo, esposto al Museo Condé, di Chantilly, adornata di un panno riccamente intarsiato e dall’acconciatura elaborata con raffinati gioielli e perle incastonate, prova della magnificenza delle manifatture fiorentine.
Simonetta, sposa di Marco Vespucci cugino del più famoso Amerigo, era amata da Giuliano de’ Medici, fratello di Lorenzo il Magnifico, e il suo amore fu raccontato nell’opera in lingua volgare “Stanze per la giostra” di Angelo Poliziano. Trionfatrice per grazia e bellezza, definita “la sans par”, Simonetta è anche musa ispiratrice del Botticelli per due delle sue più celebri opere: La Nascita di Venere e La Primavera. Si dice fosse anch’egli innamorato della bella Simonetta, tanto da voler essere seppellito ai suoi piedi nella Chiesa di Ognissanti, patronato della famiglia Vespucci. Simonetta incarna il simbolo neoplatonico dell’amore più elevato, rappresentato nei celebri capolavori del Botticelli, appartenente all’Accademia Neoplatonica fondata a Firenze da Lorenzo il Magnifico.
La seconda opera pittorica è il Ritratto di Eleonora di Toledocol figlio Giovanni, un dipinto a olio su tavola (115×96 cm) di Agnolo Bronzino, databile al 1545 e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. L’opera ritrae la bellissima duchessa di Firenze, moglie di Cosimo I de’ Medici, in compagnia di uno dei suoi undici figli, probabilmente Giovanni nato nel 1543 e destinato a diventare cardinale. Bronzino creò un ritratto ufficiale che rispecchia l’ideale cinquecentesco di potere assoluto: le forme dei protagonisti sono levigate, prive di forti contrasti chiaroscurali, illuminate da una luce fredda che le blocca nella rigidità della posa ufficiale. Depurati da qualsiasi imperfezione naturale, i protagonisti appaiono imperturbabili e decorosi, degni del loro ruolo di sovrani. In contrasto con l’impostazione austera, che subito salta all’occhio dell’osservatore, è l’elaboratissimo abito indossato da Eleonora di Toledo, reso perfettamente nella sua tridimensionalità e materialità, che mostra un corpetto aderente, una rete di cordoncino dorato con perle sulle spalle, maniche ampie con tagli dai quali sbuffa la camicia bianca sottostante e un’ampia gonna. Al centro del petto risalta il motivo stilizzato della melagrana, derivato dalle damascature e, in questo caso, simboleggiante la fecondità e presente anche nelle ghirlande sulla volta della Cappella di Eleonora in Palazzo Vecchio, affrescata sempre dal Bronzino.
Si tratta di un broccato ricamato e può essere considerato una sorta di pubblicità dell’industria della seta fiorentina, decaduta nei primi difficoltosi anni del Cinquecento e rinata sotto il regno di Cosimo I, la cui preziosità e originalità della fattura fiorentina doveva dimostrare già di per se l’alto lignaggio. (vedi tessuto di Arrigo VII). Eleonora indossa numerosi gioielli, che testimoniano la sua straordinaria ricchezza. Perle di varie dimensioni e sfumature si trovano al collo (due fili, uno con un pendente d’oro con grosso diamante e perla a goccia), agli orecchi (a goccia), sulla rete che copre le spalle e sulla cuffia. La preziosa cinta d’oro, decorata con pietre e con una nappina pure di perle, fu forse realizzata dall’orafo Benvenuto Cellini. La sua mano affusolata non indossa anelli.
Il periodo Rinascimentale è certamente stato il momento di maggiore espressione delle Arti, che si sono però tramandate nel tempo fino ad arrivare ai giorni nostri nonostante l’incalzante pressione delle nuove tecnologie. Un esempio di eccellenza di questo secolo è la Fondazione Arte della Seta Lisio, istituita nel 1971, da Fidalma Lisio figlia di Giuseppe Lisio. Fidalma segue le orme del padre che all’inizio del 1900 aprì il primo negozio/laboratorio, proprio con l’obiettivo di non fa sparire uno dei settori più pregiati dell’artigianato italiano. La fondazione si trova sulle colline poco fuori Firenze. In questa magica cornice si rinnovano e tramandano le più antiche tecniche di tessitura a mano in seta e metalli preziosi.
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