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L’Abbazia di Sant’Antimo: una leggenda tra i vigneti di Brunello

La seconda tappa del nostro viaggio riguarda una vera e propria perla dell’architettura romanica, situata nel cuore del territorio di Montalcino. Evidentemente, la patria indiscussa del buon vino, che qua si esprime nel vino DOC Sant’Antimo bianco e rosso, e dal più’ celebre ed antico Vin Santo Occhio Di Pernice, racchiude anche tanti altri segreti da svelare. E Beatesca.com, vi racconta la storia dell’Abbazia di Sant’Antimo.

L’Abbazia di Sant’Antimo è un complesso monastico, testimonianza significativa dell’epoca architettonica romanica, situato in un angolo di Toscana estremamente suggestivo, poco distante dalla città di Castelnuovo dell’Abate, nel Comune di Montalcino.  Solitario e maestoso, il monastero è circondato da quattro colli che costituiscono la Valle del torrente Starcia.

La leggenda narra che sia stato fondato dall’Imperatore Carlo Magno (742-814), che ritornando da Roma percorrendo la Via Francigena, pose il suo sigillo sulla fondazione del monastero e dell’Abbazia, come gesto di gratitudine e per grazia ricevuta dopo che il suo esercito fu salvato dall’epidemia della peste che stava imperversando.

La prima testimonianza documentata risale invece all’anno 814 d.C., quando l’erede dell’imperatore, il figlio Ludovico Il Pio, donò all’Abbazia beni e privilegi. Grazie all’impulso carolingio, inizia per il monastero il periodo di massimo splendore. Risultavano di proprietà numerosi appezzamenti terrieri e poderi disseminati nel territorio montalcinese.

L’apice lo raggiunse nel XII sec. periodo a cui risale l’attuale struttura architettonica, influenzata dalla scuola francese e ispirata all’Abbazia di Vignory; a testimonianza la data 1118 d.C., iscritta sul gradino dell’altare maggiore. La struttura è stata edificata con una roccia locale, il travertino, proveniente dalla cava di Castelnuovo dell’Abate. Le caratteristiche strutturali di questa pietra e le venature diafane di alabastro, rendono particolarmente rilucente l’Abbazia, grazie ai giochi di riflessi dovuti alle variazioni climatiche e cromatiche del cielo.

 

Sempre nel XII sec., poco più a nord,i conflitti territoriali tra le città di Siena e Firenze, portano il territorio di Montalcino al centro dell’attenzione per la sua strategica posizione. La Repubblica di Siena, non potendo espandere il suo potere verso Nord, inizia la discesa verso terre meridionali, e nel 1212, dopo l’acquisizione del Castello di Radicofani, sancisce un accordo con l’Abate di Sant’Antimo e la città di Montalcino che le permetterà di divenire proprietaria di un quarto del territorio montalcinese.

Perdendo Montalcino, l’Abbazia viene privata del suo centro di potere.

Nel 1462 il monastero fu soppresso da Papa Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini, originario di Pienza.

Nel XVIII sec. il monastero è ridotto a un semplice oratorio. Solo nel XX sec., passata nelle mani dello Stato, l’Abbazia di Sant’Antimo acquista nuovamente grandezza spirituale.

Alla fine degli anni ’70 il Vescovo di Siena, ricostituisce la comunità monastica di Sant’Antimo. Sono Canonici Regolari Premostratensi, e conducono una vita in comune secondo il modello proposto dagli Apostoli e la Regola di Sant’Agostino.

Oggi, seppur piccola – è composta solo da 8 monaci di origine francese – la comunità è molto attiva: ogni giorno vengono celebrate funzioni religiose in lingua latina e accompagnate dalla musica liturgica dei canti gregoriani.

 

DESCRIZIONE DELLA STRUTTURA

Sul terreno dove ora sorge l’Abbazia, vi era una Villa romana.A dimostrazione di ciò, i numerosi reperti archeologici ritrovati e usati anche nella costruzione e ornamento dell’Abbazia, come il piccolo bassorilievo a figura umana con cornucopia che si trova nella parete lato nord, ed alcune colonne della Cripta Carolingia. Proprio quest’ultima, insieme ai resti del Chiostro e della Sala Capitolare, sono la sola attuale testimonianza della struttura medievale fondata da Carlo Magno. Ad arricchire la semplice struttura architettonica della Cappella, costituita da un piccolo altare in pietra e una singola navata, vi sono gli affreschi raffiguranti la vita di San Benedetto da Norcia.

Della Sala Capitolare non esiste ormai quasi più niente. In passato era però uno dei luoghi più frequentati, perché sede delle riunioni del Capitolo dei Monaci. Una trifora, sorretta da capitelli e colonnine, è il miglior reperto giunto fino ai giorni nostri.

Di più recente costruzione e ben conservato, è il complesso della chiesa abbaziale. La caratteristica principale è la posizione del campanile, che si trova attaccato alla chiesa perché, si dice, di precedente costruzione.

Insieme al campanile, altra peculiarità degna di nota è l’abside, solenne e maestosa, coronata da tre cappelle radiali.

Della facciata risalta il grande portale centrale, sovrastato da un bellissimo architrave a bassorilievo raffigurante una pianta di vite. La chiesa all’interno presenta una grande navata centrale, separata dalle due piccole laterali da una serie di quattro archi a tutto sesto, che si concludono sul fondo con un grande deambulatorio.

Le navatelle, coperte con volta a crociera, contano dieci campate, ognuna decorata con una opera d’arte. Una delle più significative è sicuramente il capitello rappresentante “Daniele nella fossa dei Leoni”, opera del Maestro di Cabestany, della seconda colonna a sud entrando dal portone centrale. In uno spazio estremamente ristretto è riuscito a rappresentare tutti i salienti episodi della vicenda biblica, narrate nel Libro del Profeta Daniele. Questo capitello che simboleggia la resurrezione è stato posto in questo punto della chiesa perché in primavera viene illuminato dal sole.

Percorrendo il perimetro esterno dell’Abbazia si possono notare due particolari fori ai margini esterni e al margine superiore dell’architrave del portone detto “Dei Catecumeni”. Fino alla metà del Novecento non si era compreso quale fosse la loro funzione. Il mistero si svelò quando, durante una campagna archeologica nei dintorni di Castelnuovo dell’Abate, precisamente sul grande camino della sala del Castello de La Velona, ed usate come alari per reggere la legna ardente sul fuoco, vennero rinvenute due grosse pietre di basalto nero decorate a rilievo da una folgore stilizzata con le punte a foglia d’edera e da due piccole losanghe. Rietrano in una classe diffusa in tutta l’Etruria, rilative probabilmente a culti ctonii (cm. 40 x 30 – kg. 20 – 30 vedi immagine).

All’inizio non furono subito collegate ai due alloggiamenti presenti sulla porta laterale dell’Abbazia ma, grazie alla lettura di una pubblicazione risalente al 1888, non ci furono più dubbi: si parlava di due pietre, dette “fave missili”, infisse sopra l’architrave del portone laterale.

Le due pietre vennero tolte durante una campagna di restauro e non furono mai più riposizionate. Attualmente soltanto una si può ammirare al Museo Archeologico montalcinese (orari fondo pagina).

Che cosa rappresentassero le due grosse pietre con solchi lobati e una piccola losanga, è stato oggetto di molte ipotesi: da proiettili medioevali ad unità di peso venuta forse dal Medio Oriente, il Talento (circa 36kg), a simboli che gli etruschi usavano collocare all’ingresso dei loro villaggi per propiziare la fertilità. Ancora oggi però il mistero resta irrisolto (fonte: Gli amici di Montalcino).

 

Indirizzi e Orari

Musei Civico e Diocesano. Raccolta Archeologica di Montalcino.

Via Ricasoli, 31

53024 Montalcino(SI)

tel + 39 0577 846014 – tel- fax + 39  0577 849331

Abbazia di Sant’Antimo

53024 Castelnuovo dell’Abate – Italia

L’abbazia di Sant’Antimo rimane

aperta tutto il giorno.

E’ consentita la visita dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 18.30.

Durante le funzioni le visite sono sospese.

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